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Federica Rota

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Non riesco a resistere alle sfide, amo mettermi in gioco fino in fondo e riuscire a gestire situazioni difficili. La soddisfazione che si prova una volta centrato l’obiettivo non si può descrivere a parole e crea dipendenza. Ecco la mia nuova sfida: la Stelvio E-retica, la mia prima Super Randonnée.
Considerata la partenza da Talamona, non avrei potuto scegliere altrimenti, solo 40km distante da casa: “la sfida di casa!”

Dopo una birra e una bella chiacchierata con Matteo, uno dei due organizzatori, a me e ad Alessandro, compagno di pedalate che si è voluto cimentare nell'impresa, vengono consegnate le targhette da apporre sulla bici e i brevetti cartacei da compilare con i punti di controllo.

Giovedì 24 agosto alle 3.40 io e Alessandro iniziamo a pedalare, alla chiesa di Talamona ci aspettano altri due compagni di avventura dei “Randagi Veneti”, Loredana e Francesco, conosciuti in precedenza ad altre Randonnée. Pedaliamo tutti insieme sul Sentiero Valtellina formando un bel gruppetto compatto. Raccontandoci le ultime avventure, il sorgere del sole ci permette di vedere il fiume in piena che scorre nel verso opposto rispetto al nostro senso di marcia. Possiamo spegnere le luci, che verranno utili più avanti: meglio risparmiare la batteria. Arriviamo a Tirano e si comincia a fare sul serio: la salita al Passo del Bernina è davvero interminabile e le mie gambe non girano come vorrei. Provo a mettere dei rapporti agili lungo il tratto pianeggiante che costeggia il lago di Poschiavo mentre mi godo il fantastico panorama, ma restano appesantite dal recente cicloviaggio durato due settimane e terminato appena qualche giorno prima.

Le prime sensazioni non sono per niente buone, ma mi dico: "Devi arrivare in cima al passo così le gambe si scaldano e poi andrà meglio", e così in effetti è stato. Fatta la foto al Passo Bernina ritorniamo indietro di qualche tornante, dove riempio la borraccia con della fresca acqua di fonte recuperata direttamente dalla roccia. Attraversiamo la dogana Svizzera e pedaliamo nella terra di nessuno tra i due confini di stato, saliamo così in cima al Passo della Forcola, tanto breve quanto intenso. Poco meno di 300m di dislivello, ma con pendenze davvero impegnative: una bella sudata, soprattutto se hai appena scalato il Passo del Bernina. La mia bici, con tutte queste borse, non sembra nemmeno lei, e il peso su queste pendenze si fa sentire fin da subito. Ripenso al mio bagaglio ma niente mi sembra superfluo e mi dico: "Hai preso il necessario, non potevi lasciare a casa niente".

Conquistata la Forcola, ci meritiamo una bella cola fresca per poi scendere in picchiata verso Livigno. Evitiamo il centro e iniziamo subito la salita che porta al Passo Eira che morbida e piacevole ci conduce in territorio a me sconosciuto. Tutto il verde circostante e le pendenze ragionevoli rendono l'ascesa seguente al Passo Foscagno altrettanto rilassante.
Sembra tutto perfetto, ma durante la discesa verso Bormio il sole caldo si nasconde per un attimo e all'improvviso arriva una bella scarica di pioggia, tipicamente estiva, una di quelle in cui parte del cielo è ancora azzurro ma sopra di te si sta scatenando l'acquazzone. Mi riparo sotto alcuni pini e metto la giacca anti-pioggia, in realtà mi sono fermata anche per consultare meglio la traccia gps. Con la pioggia non vedo bene il computerino e avendo perso di vista i compagni penso: "Porca miseria avrò sbagliato strada e sono scesa troppo, non dovrò risalire?!". Invece compare Alessandro, fradicio, e mi conferma che siamo sulla strada giusta, aspettiamo un attimo e decidiamo di proseguire fino al prossimo paesino per fermarci un attimo in un bar ad aspettare anche Francesco e Loredana. Entriamo nel primo bar lungo la strada, chiedo un giornale da mettere nelle scarpe e un tè caldo. Nella speranza che asciughino tolgo anche le calze e le riempio con i giornali.

Anche Loredana e Francesco ci raggiungono, gli animi sono un po' bassi. La pioggia, il freddo e il manto scivoloso della strada hanno creato sconforto. Penso: “Non perdiamoci d’animo!”. Tiro fuori la mia determinazione e cerco di motivare al meglio il gruppo per affrontare il Passo del Gavia. Dopo una lunga ed esitante pausa ripartiamo. Arrivati a Bormio seguiamo i cartelli per Santa Caterina, e poco dopo mi fermo in un negozio lungo la strada per comprare del cibo. (Il pane purtroppo è finito, così ripiego su delle focaccine confezionate e un etto di roast beef), che poi si riveleranno indispensabili. A Santa Caterina mangiamo una pizza al volo e via verso i temuti tornanti che ci separano dalla cima del Passo del Gavia. Arriviamo in cima con il sole già tramontato, le luci sulla bici accese e un silenzio impagabile. Si sentono solo i campanacci delle mucche ma non riesco a vederle. Dato che siamo a 2600m di altitudine, entro un attimo nel rifugio e mi metto i vestiti più pesanti che ho portato, così da affrontare velocemente la discesa fino Ponte di Legno. Dove ci aspetta una camera d’albergo che avremmo dovuto raggiungere non oltre le 22.30. Addirittura in anticipo, alle 22.00, ritiriamo le chiavi. Una bella doccia calda, una camomilla e di corsa a riposare. La sveglia per me e Alessandro suona alle 4.00, mentre Francesco e Loredana preferiscono riposare più a lungo, per cui, per il momento, ci salutiamo.

Iniziamo la nuova giornata pedalando sotto le stelle, il Passo del Tonale è breve e sale senza particolari pendenze, insomma, un piacevole risveglio muscolare. Una volta in cima si fa giorno e scendiamo in esplorazione della lunga Val di Sole. A quest’ora il traffico è inesistente, quindi scendiamo rapidamente e arrivati quasi a fondovalle decidiamo di seguire la ciclabile perché il traffico inizia a palesarsi. Lasciato alle spalle questo tratto di ciclabile, che ricorderò per alcune salite inaspettatamente ripide, anche se brevi, e rumorosi trattori. Raggiungiamo rapidamente l’inizio della salita al Passo delle Palade. Ci fermiamo dopo i primi chilometri di ascesa per una seconda colazione e poi proseguiamo: davanti a noi un bellissimo scorcio sul lago di Santa Giustina, terrazzamenti di mele e alcune viti: paesaggio davvero caratteristico. Il passo è lungo ma molto pedalabile e a buon ritmo raggiungiamo la cima.

La discesa, molto panoramica, in un attimo ci conduce a Merano, dove ci aspettano temperature "illegali". Obbligo una cola fresca prima di riprendere la ciclabile che porta dritta a Prato allo Stelvio. Questi 50km di falso piano mi preoccupano da quando è suonata la sveglia, devo riuscire ad affrontarli senza perdere troppo tempo e pensare alla prossima scalata, una delle più impegnative.

Riparto da sola, Alessandro mi dice di proseguire, dicendomi che mi seguirà a breve. Dopo qualche chilometro di ciclabile ecco il primo colpo di fortuna: un fantastico vento a favore! Mi faccio spingere a testa bassa fino a Lasa, un piccolo nucleo abitato appena prima di Prato allo Stelvio, dove però ho un attimo di crisi, dovuto forse al caldo o forse al ritmo della pedalata. Mi siedo al bar "Rosi" e ordino uno strudel, un caffè e un tè freddo al limone, metto un po' di crema sella, mi rimetto sui pedali e con determinazione attacco lo Stelvio. La salita la conosco abbastanza bene, mi ricordo i momenti più e meno critici. Devo ammettere però che la prima parte di strada fino a Trafoi la ricordavo più pedalabile. Questo caldo mi uccide già in partenza. E superata la prima parte, a mio avviso la meno attraente, non vedo l'ora di uscire dal bosco, cambiare paesaggio e ammirare il famose serpentone che conduce alla cima. Anche se a rilento riesco a conquistare tutti i 48 tornanti che portano al punto più alto dell'intero percorso: 2758m. Non nascondo che arrivata al cartello del trentesimo tornante ho iniziato a fare il conto alla rovescia, sperando che lo spazio tra uno e l'altro diventasse sempre più corto. Per me questo è il punto di svolta, nella mia testa il peggio è passato. Arrivata in cima mi dico: "Ora ce la puoi fare, sei rimasta da sola, sei in ritardo sulla tua tabella di marcia, ma ce la puoi fare!".

Alessandro mi conferma al telefono che la sia avventura termina a Trafoi, aggiunge che il meteo non promette bene e di fare attenzione; mentre Loredana e Francesco invece stanno arrivando a Prato. Mi metto di nuovo “l'artiglieria pesante” da discesa e controllo il radar delle piogge. Sì, è vero, sono previsti temporali in Engadina, ma decido comunque di proseguire: "Se pioverà cercherò un riparo, è estate e dal radar sembrano temporali passeggeri, basterà aspettare che passino”.

Mentre scendo nel bosco del Passo Umbrail, studio attentamente i movimenti delle nuvole, specialmente quelle più scure, e rifletto sul da farsi. Faccio dei calcoli mentali per capire come evitare i temporali visti prima sul radar, in fondo al la discesa riempio la borraccia alla fontana, mi svesto velocemente mettendo in bocca qualche biscotto e approfitto dell'ultima ora di luce per iniziare la salita al Passo del Forno. Sembra ancora sereno. Dopo un attimo, col calare della notte, in cima al passo vedo dei lampi, anche se non sento i tuoni. Mancano 4km per arrivare in cima, quelli più impegnativi, ma vedo un bar, decido di fermarmi a mangiare qualcosa e consultare di nuovo il meteo. Appena entrata mi guardano tutti interessati e subito mi inquadrano: "Stai facendo una challenge?". Rispondo con un sorriso e in breve spiego il percorso che mi resta per terminare la mia sfida, ordino un tè caldo e un toast. Chiacchiero e consulto il meteo, pare siano lampi di umidità, quindi mi rimetto sui pedali. L'ultimo tratto, che dovrebbe essere il più ripido, non mi sembra per niente faticoso, forse il toast mi ha dato delle forze inaspettate o forse mi sento in dirittura di arrivo, fatto sta che in poco tempo raggiungo la cima senza sforzi eccessivi.

Sono le 23.22, scendo verso Zernez fiduciosa che il meteo regga senza temporali improvvisi. Faccio una breve pausa nel bagno pubblico, dove nuovamente cambio l'assetto dei vestiti. Si lo so, sono un po' fissata con questi cambi ma per me l'abbigliamento è fondamentale, meglio perdere un attimo di tempo ma non soffrire il freddo che poi è difficile da mandare via. Sulla strada che porta in cima al Fluela siamo solo io e la mia bici, solo le luci dei faretti mi fanno compagnia. Ogni tanto qualche lampo illumina il cielo, ma resto sempre convinta che siano solo lampi dovuti all’umidità. Questa salita, per me, è la seconda grossa difficoltà dopo il passo dello Stelvio e nella mia è un alternarsi di: "Che bello questo silenzio, che pace, nemmeno una macchina, e, ma quando finisce questa strada?! molla un attimo questa salita?!". A sfiancarmi sono le pendenze quasi sempre al 9 o 10 %, che a ripensarci ora forse non erano sempre così ma solo quando controllavo il computerino. L'arrivo della pioggia ha peggiorato notevolmente questa situazione di equilibrio precario. Sento qualche goccia: “Oh, no!!!”. Mi fermo subito per mettere via i vestiti che preparati per la discesa e lasciati fuori dalla sacca impermeabile. È notte, sono in quota ed avere dei vestiti asciutti è fondamentale. Mi metto la giacca impermeabile e riparto, cercando di affrontare gli ultimi 200m di dislivello il più velocemente possibile: sono consapevole che se iniziasse a piovere seriamente non avrei nessun riparo. Mi guardo in giro ma non vedo nemmeno una pianta, non ho mai affrontato questa salita in altre occasioni quindi non so bene dove mi trovo. Le raffiche di vento contrario e la stanchezza accumulata non mi permettono una pedalata particolarmente veloce, ma faccio del mio meglio per arrivare in cima, so che manca poco, ce la devo fare. Arrivo al passo appena in tempo per fare la foto da inviare a Paolo e Matteo al cartello "Flüela Pass” e subito si scatena il temporale. Guardo a destra e a sinistra della strada per capire dove potermi riparare. Non vedo qualcosa che offre un bel riparo, decido di correre contro il muro di una casa sulla mia destra, il tetto sporgente è veramente più corto di quello che sembra e quando il vento cambia direzione mi bagno. Provo a spostarmi sull’altro lato di questo edificio, ma niente, corro dall’altra parte della strada per vedere se sono più fortunata: trovo la porta chiusa di un albergo che mi offre circa 30cm di riparo, sufficienti per rimanere quasi asciutta. La bici è un po' meno fortunata: l’ho appoggiata al muro di fianco e in parte si bagna. Questo è il momento in cui la mia crisi raggiunge l’apice: dalle 3.30 alle 5.00 del mattino resto qui, a tratti per qualche minuto dormo in piedi come un cavallo, rannicchiata contro lo stipite della porta, con il temporale che domina indisturbato il passo. Le raffiche di vento rovesciano tutto quello che trovano nei dintorni, dalle grondaie scendono delle cascate e io me ne sto qui fuori, umida, a 2300m di altitudine. Tengo le mie lucine della bici accese per farmi compagnia. Ho telefonato a Loredana e Francesco per avere aggiornamenti e avvisarli del temporale in corso: sono al riparo in albergo allo Stelvio e anche loro hanno deciso di non proseguire. In questa situazione devo trovare qualcosa di positivo e quindi mi sono detta: “Alla fine sei stata fortunata, pensa se fossi arrivata in cima 5 min. più tardi… saresti stata fradicia e molto più infreddolita”. Certo mi sento umida e ho freddo ma poteva andare peggio. Appena smette di piovere opto per la “terapia d’urto”: avrei voluto bere qualcosa di caldo in un posto asciutto, sarei stata ad aspettare ancora un pò e forse sarebbe arrivato qualcuno ad aprire l’albergo, ma so che la cosa migliore è salire sulla bici e abbassarmi di quota il più velocemente possibile per cercare temperature migliori. Sono tutta intorpidita in parte dal freddo e in parte dal sonno, questa decisione mi costa parecchia forza di volontà, ma so che è necessaria.

Mentre schivo le rane sull'asfalto, i piedi si sono completamente bagnati e di conseguenza congelati. Raggiungo le luci di Davos e le prime anime mattutine che popolano il centro mi danno un po' di speranza, qualche tratto in pendenza mi aiuta a riprendere una temperatura corporea accettabile, piedi inclusi.

Arrivata in fondo alla discesa mi resta solo l'ultima salita: "Federica ormai è fatta! Però devi darti una mossa, non hai molto margine di tempo". Così la colazione al bar si trasforma in una barretta e con le ultime energie rimaste comincio l'ultima sgambata. Il Passo dell'Albula è molto bello paesaggisticamente, l'ho già fatto una volta e mi ha colpito, peccato che le auto lo considerino un autodromo e bisogna prestare la massima attenzione. Il sonno mi intorpidisce, i miei movimenti sono lentissimi, per riporre i guanti e la giacca nella borsa impiego il doppio del tempo rispetto al solito, figuriamoci per arrivare in cima, ma non demordo e cerco di mettercela davvero tutta. Arrivata finalmente agli ultimi 100m di dislivello capisco che ci sono, la mia felicità è indescrivibile.

Senza perdere tempo scendo a La Punt. Ora mani basse sul manubrio, testa china e occhi che guardano solo la strada. Pedalo 30km contro vento sul tratto pianeggiante che mi porta al Passo del Maloja. Combatto con le ultime forze contro quest’aria davvero forte e penso: “Io lo devo essere di più! Ormai è fatta!”. Mi si seccano le labbra e gli occhi, stanchi di avere le lenti a contatto; a St Moritz prendo l'ultimo gel rimasto sperando in un pizzico di energia per affrontare gli ultimi chilometri. Davvero a fatica raggiungo il Passo del Maloja, quel vento è stato sfibrante, si è preso tutto quel poco che mi è rimasto. Per restare sveglia affronto la discesa indossando solo il gilet e l'aria frizzantina dei 2000m mi tiene gli occhi aperti, che io voglia o meno.

Finalmente arrivo alla fine della mia impresa. Non riesco a credere di esserci riuscita. Non mi sembra vero ma lo posso confermare: volere è potere!

Sabato 26 agosto ore 13.58: tempo totale 58 ore e 38 Min, 611km e 13.200m di dislivello positivo.

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